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La decadenza di un principe che si sposa senza regio assenso e la sua esclusione dalla linea di successione sono automatiche e non necessitano di alcun ulteriore atto da parte del Capo della Casa, come previsto dall’art. 2 (« […] si intenderanno senz’altro decaduti…»). Il principe decaduto non può appellarsi e contro tale situazione «non è ammesso reclamo ad alcuna autorità».<ref name=Ranelletti>Oreste Ranelletti, ”Istituzioni di diritto pubblico”, 1934, p. 175.</ref> Il successore al trono viene sempre identificato dalle leggi di successione dinastica, e mai per via arbitraria o testamentaria: «i poteri del nuovo Re non derivano dal precedente, ma direttamente dalla costituzione».<ref name=Ranelletti160>Oreste Ranelletti, ”Istituzioni di diritto pubblico”, 1934, p. 160.</ref> Lo [[Statuto Albertino]], adottato nel 1848, non si sofferma sulle leggi di successione e rinvia alle disposizioni precedenti dando solo, a differenza di altre costituzioni coeve, indicazioni di massima in merito alla successione.<ref name=Miceli486>Vincenzo Miceli, ”Principi di diritto costituzionale”, 1913, p. 486.</ref> L’art. 2 dello Statuto recita infatti: «Lo Stato è retto da un Governo Monarchico Rappresentativo. Il Trono è ereditario secondo la [[legge salica]]»,<ref name=statutoalbertino>[[s:Italia, Regno – Statuto albertino|Il testo dello Statuto Albertino.]]</ref> precisando quindi che le donne sono escluse dalla linea di successione. Lo Statuto Albertino ha abrogato le precedenti disposizioni contrarie a esso secondo la lettura dell’art. 81 («Ogni legge contraria al presente Statuto è abrogata») ma, sulla base della dottrina prevalente nel periodo monarchico,<ref name=Crosa20/> le norme dinastiche contenute nelle regie lettere patenti del 1780 e nel regio editto del 1782 non sono contrarie allo Statuto dal momento che anch’esse prevedono la legge salica, precisandone i criteri di applicazione attraverso la normativa sui matrimoni principeschi.<ref>{{Treccani|matrimonio-morganatico|morganàtico, matrimònio|anno=1939|accesso=20 dicembre 2015}}</ref>
 
La decadenza di un principe che si sposa senza regio assenso e la sua esclusione dalla linea di successione sono automatiche e non necessitano di alcun ulteriore atto da parte del Capo della Casa, come previsto dall’art. 2 (« […] si intenderanno senz’altro decaduti…»). Il principe decaduto non può appellarsi e contro tale situazione «non è ammesso reclamo ad alcuna autorità».<ref name=Ranelletti>Oreste Ranelletti, ”Istituzioni di diritto pubblico”, 1934, p. 175.</ref> Il successore al trono viene sempre identificato dalle leggi di successione dinastica, e mai per via arbitraria o testamentaria: «i poteri del nuovo Re non derivano dal precedente, ma direttamente dalla costituzione».<ref name=Ranelletti160>Oreste Ranelletti, ”Istituzioni di diritto pubblico”, 1934, p. 160.</ref> Lo [[Statuto Albertino]], adottato nel 1848, non si sofferma sulle leggi di successione e rinvia alle disposizioni precedenti dando solo, a differenza di altre costituzioni coeve, indicazioni di massima in merito alla successione.<ref name=Miceli486>Vincenzo Miceli, ”Principi di diritto costituzionale”, 1913, p. 486.</ref> L’art. 2 dello Statuto recita infatti: «Lo Stato è retto da un Governo Monarchico Rappresentativo. Il Trono è ereditario secondo la [[legge salica]]»,<ref name=statutoalbertino>[[s:Italia, Regno – Statuto albertino|Il testo dello Statuto Albertino.]]</ref> precisando quindi che le donne sono escluse dalla linea di successione. Lo Statuto Albertino ha abrogato le precedenti disposizioni contrarie a esso secondo la lettura dell’art. 81 («Ogni legge contraria al presente Statuto è abrogata») ma, sulla base della dottrina prevalente nel periodo monarchico,<ref name=Crosa20/> le norme dinastiche contenute nelle regie lettere patenti del 1780 e nel regio editto del 1782 non sono contrarie allo Statuto dal momento che anch’esse prevedono la legge salica, precisandone i criteri di applicazione attraverso la normativa sui matrimoni principeschi.<ref>{{Treccani|matrimonio-morganatico|morganàtico, matrimònio|anno=1939|accesso=20 dicembre 2015}}</ref>
   
Di nuovo, a conferma della validità delle disposizioni settecentesche, gli articoli inseriti nel [[Codice civile italiano del 1865|Codice Civile del 1865]] e nel [[Codice civile italiano|Codice Civile del 1942]], che prescrivono l’obbligatorietà del regio assenso prima delle nozze: « […] non si possono considerare come legittimi discendenti per la successione al trono se non i figli nati da matrimonio considerato legittimo secondo i princìpi del nostro diritto pubblico. Perché a tali effetti il matrimonio sia legittimo occorre: I) che sia stato fatto con l’assenso del Re conformemente alla disposizione dell’art. 69 del Codice Civile; II) che non sia stato contratto con persona di condizione inferiore, cioè non appartenente alla categoria dei prìncipi di famiglie regnanti o ex regnanti. Ciò in forza della reale patente del 13 settembre 1780 e del reale biglietto del 28 ottobre<ref group=N>Il testo fa riferimento al matrimonio di [[Eugenio Ilarione di Savoia-Carignano]] che, nel 1779, aveva sposato Elisabeth Anne Magon de Boisgarin. Poiché il matrimonio era diseguale (la moglie non era di sangue reale) e non era stato preventivamente approvato dal re Vittorio Amedeo III, Eugenio Ilarione perse automaticamente tutti i propri diritti dinastici e il titolo principesco. Vittorio Amedeo III, con atto di benevolenza, il 28 ottobre 1780 emise però un regio biglietto grazie al quale Eugenio Ilarione poté riassumere diritti e titolo, ma la moglie e i futuri figli non furono riconosciuti come membri di Casa Savoia né furono mai inclusi nella linea di successione al trono, pur potendo portare il cognome sabaudo: «Volendo Noi per tratto di grazia speciale usare a favore del Principe Eugenio di Carignano mio Cugino della riserva apposta nell’articolo terzo delle Patenti nostre delli 13 scorso settembre, perciò col presente di nostra mano firmato, e controfirmato dall’infrascritto nostro Ministro, e Primo Segretario di Stato per gli affari interni, permettiamo al detto Principe Eugenio, ed alla sua persona solamente, che, qualora per motivi di coscienza, od altri, stimi di riabilitare il matrimonio da lui contratto nullamente in Francia, in tal caso, e non altrimenti, possa egli ritenere e conservare i diritti di successione, prerogative, ed onorificenze della famiglia, nonostante il disposto in tal parte dell’articolo 1 delle mentovate Patenti. Mandiamo il presente registrarsi nella Segreteria nostra di Stato per gli affari interni, tal essendo il nostro volere. Dato a Moncalieri il 28 ottobre 1780. Vittorio Amedeo».</ref> del medesimo anno. Queste disposizioni continuano a essere in vigore, non essendo state abrogate da leggi o da decreti successivi».<ref name=Miceli486/> Il principio dell’assenso preventivo non venne ritenuto contrario neanche alla [[Costituzione della Repubblica Italiana]] del 1948, dal momento che rimase sotto il profilo dell’assenso del presidente della Repubblica per i militari di alto rango e per i diplomatici di carriera,<ref>{{cita web|url=https://boe.es/publicaciones/anuarios_derecho/abrir_pdf.php?id=ANU-E-1995-10030300322|titolo=Sulla vitalità della normativa italiana sull’assenso matrimoniale regio|accesso=28 luglio 2021}}</ref> cioè per quei soggetti che, come un tempo i membri della famiglia reale, rappresentano con le loro funzioni l’immagine pubblica dello Stato.<ref>Gigi Speroni, ”Umberto II. Il dramma segreto dell’ultimo re”, Milano, Bompiani, 2004, pag. 12.</ref>
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Di nuovo, a conferma della validità delle disposizioni settecentesche, gli articoli inseriti nel [[Codice civile italiano del 1865|Codice Civile del 1865]] e nel [[Codice civile italiano|Codice Civile del 1942]], che prescrivono l’obbligatorietà del regio assenso prima delle nozze: « […] non si possono considerare come legittimi discendenti per la successione al trono se non i figli nati da matrimonio considerato legittimo secondo i princìpi del nostro diritto pubblico. Perché a tali effetti il matrimonio sia legittimo occorre: I) che sia stato fatto con l’assenso del Re conformemente alla disposizione dell’art. 69 del Codice Civile; II) che non sia stato contratto con persona di condizione inferiore, cioè non appartenente alla categoria dei prìncipi di famiglie regnanti o ex regnanti. Ciò in forza della reale patente del 13 settembre 1780 e del reale biglietto del 28 ottobre<ref group=N>Il testo fa riferimento al matrimonio di [[Eugenio Ilarione di Savoia-Carignano]] che, nel 1779, aveva sposato Elisabeth Anne Magon de Boisgarin. Poiché il matrimonio era diseguale (la moglie non era di sangue reale) e non era stato preventivamente approvato dal re Vittorio Amedeo III, Eugenio Ilarione perse automaticamente tutti i propri diritti dinastici e il titolo principesco. Vittorio Amedeo III, con atto di benevolenza, il 28 ottobre 1780 emise però un regio biglietto grazie al quale Eugenio Ilarione poté riassumere diritti e titolo, ma la moglie e i futuri figli non furono riconosciuti come membri di Casa Savoia né furono mai inclusi nella linea di successione al trono, pur potendo portare il cognome sabaudo: «Volendo Noi per tratto di grazia speciale usare a favore del Principe Eugenio di Carignano mio Cugino della riserva apposta nell’articolo terzo delle Patenti nostre delli 13 scorso settembre, perciò col presente di nostra mano firmato, e controfirmato dall’infrascritto nostro Ministro, e Primo Segretario di Stato per gli affari interni, permettiamo al detto Principe Eugenio, ed alla sua persona solamente, che, qualora per motivi di coscienza, od altri, stimi di riabilitare il matrimonio da lui contratto nullamente in Francia, in tal caso, e non altrimenti, possa egli ritenere e conservare i diritti di successione, prerogative, ed onorificenze della famiglia, nonostante il disposto in tal parte dell’articolo 1 delle mentovate Patenti. Mandiamo il presente registrarsi nella Segreteria nostra di Stato per gli affari interni, tal essendo il nostro volere. Dato a Moncalieri il 28 ottobre 1780. Vittorio Amedeo».</ref> del medesimo anno. Queste disposizioni continuano a essere in vigore, non essendo state abrogate da leggi o da decreti successivi».<ref name=Miceli486/>
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La legge n. 2693 del 9 dicembre 1928, che istituiva il [[Gran consiglio del fascismo]], all’articolo 12 stabiliva che esso aveva facoltà di pronunciarsi in materia di successione al trono. Tuttavia, dal 1928 al 1943, anno di abolizione della legge suddetta e dello stesso Gran consiglio, non venne presentata alcuna proposta riguardante modifiche sui criteri di successione.<ref>{{cita web|url=http://www.infoleges.it/service1/scheda.aspx?id=96220&articolo=301449&service=1&ordinal=&articolofrom=&articoloto=|titolo=Legge 9 dicembre 1928, n. 2693|accesso=22 ottobre 2021}}</ref> Il principio dell’assenso preventivo non venne ritenuto contrario neanche alla [[Costituzione della Repubblica Italiana]] del 1948, dal momento che rimase sotto il profilo dell’assenso del presidente della Repubblica per i militari di alto rango e per i diplomatici di carriera,<ref>{{cita web|url=https://boe.es/publicaciones/anuarios_derecho/abrir_pdf.php?id=ANU-E-1995-10030300322|titolo=Sulla vitalità della normativa italiana sull’assenso matrimoniale regio|accesso=28 luglio 2021}}</ref> cioè per quei soggetti che, come un tempo i membri della famiglia reale, rappresentano con le loro funzioni l’immagine pubblica dello Stato.<ref>Gigi Speroni, ”Umberto II. Il dramma segreto dell’ultimo re”, Milano, Bompiani, 2004, pag. 12.</ref>
   
 
In sintesi la successione in Casa Savoia, secondo l’interpretazione delle leggi suddette, segue:
 
In sintesi la successione in Casa Savoia, secondo l’interpretazione delle leggi suddette, segue: